mercoledì 15 febbraio 2012

Saranno graffiti

È avvenuto qualcosa. Un cambiamento. O piuttosto un non-cambiamento.
Da un'ora in qua, la luce che entra dal rettangolo della finestra è illividita anziché rischiarare, e ha una tonalità fissa che vira al giallastro come pergamena. Fissa, soprattutto. Senza vibrazioni.
Nell'attraversare la stanza con lo sguardo, noto più nitidi i contorni di oggetti familiari che ora sembrano esprimere solo una minacciosa materialità, uno spessore tagliente. Sul tavolino, un giornale mal piegato, chiavi, stagnola appallottolata, foglie secche cadute da un vaso; il tappeto ha un angolo rovesciato, le antine della libreria sono socchiuse, una pila di volumi è rimasta per terra lì accanto. In cucina le stoviglie e i pomoli hanno smesso di brillare, il frigo panciuto è silenzioso e pare in agguato. Le briciole di qualche colazione sul ripiano hanno l'aspetto di fossili, e il lampadario deve essere sparito dentro il soffitto. Il lieve disordine lasciato dal movimento delle vite di chi abita qui dovrebbe confortarmi, ma invece mi pone domande, e mi turbano. E non c'è più quel sottofondo che negli ultimi giorni era sempre presente, quella eco di spari nei boschi: i cacciatori tacciono, tace l'aria tutta. Tace la pendola in ingresso. Non odo risuonare nemmeno i miei passi.
La porta è aperta. Fuori, cielo lontano ma denso e sulfureo, e nessun suono, né uccelli né fronde. L'erba della radura ingiallita e secca come cartone.
Nessuna brezza smuove i cespugli o rimanda odori.
È un'attesa, ecco cos'è. L'attesa di qualcosa. Come quando gli animali selvatici percepiscono un incendio lontano e si arrestano sul ciglio di foreste o burroni annusando l'aria prima di decidere la direzione di fuga.
Ma io lo so, lo so che qui intorno non ci sono animali, né laggiù, da qualche parte, un incendio che si avvicina.
E adesso sento anche, con certezza assoluta, che oltre la curva del viottolo e oltre la boscaglia non esistono più la strada asfaltata né traffico di veicoli né, in fondo alla vallata, il paese di case, piazze, botteghe, uomini e donne che conoscevo. La vallata è disabitata, solo prataglie e rocce e un torrente selvaggio. Non troverei niente e nessuno se scendessi fin là a cercare spiegazioni.
Fuori, qui intorno, invece, ci sono loro, gli uomini seminudi e irsuti che si aggirano curvi e con pietre in mano, prudenti e feroci insieme, gli occhi foschi che saettano come fiere. Non sono ancora qui, ma si avvicinano, circondano la mia casa, l'ultima rimasta, senza scricchiolii di foglie secche, senza scie di odore selvatico, senza richiami gutturali. Li vedo e li odo e li distinguo perfettamente solo nella mia mente. Riconosco la loro presenza, e non me ne stupisco. Stanno arrivando, vengono a prendermi.
Non ho altra scelta, dovrò unirmi a loro.
La luce è ormai da un'ora sempre la stessa, attraversata da un ronzio fisso che ha un che di elettrico. Non c'è dubbio che tutto ciò sia innaturale, eppure è reale e giusto e necessario che sia così. Non ne ho paura né stupore. Il processo è avvenuto, è un dato di fatto. Il Tempo si è rigirato e corre da un'altra parte. Tutto ciò che ancora resta intrappolato in questa bolla è la mia casa e un perimetro di pochi metri intorno che si va riducendo. Imploderà. Sparirà, inghiottito. Cambierà tutto, e anche io.
Ricomincerà daccapo nei silenzi dilatati e nel mondo desertico della preistoria. L'alba, l'alba che torna. Tutto da rifare, da rivivere, da reinventare. E mi aspettano, e manca poco.
Ma ho ancora qualche minuto, le ultime chances. Porterò con me qualcosa, segni irrinunciabili, il viatico minimo per il viaggio. Nessuno è qui per impedirmelo, anche se una remota voce interna mi suggerisce che potrei pentirmene. Rientro in casa, abbraccio con lo sguardo tutto ciò che sto per lasciare e non riavrò mai più, la mia memoria ne fa un fulmineo inventario sentimentale e seleziona poche indispensabili necessità vitali. Mi serve una matita. La trovo sul tavolo. Carta, per ricordare. Strappo un foglio del giornale, userò i suoi margini bianchi. Un'altra cosa, e poi basta; una cosa inutile ma bella, che sta lì, davanti ai miei occhi, e sa già che non la scarterò. È una cartolina illustrata arrivata tempo fa, quando ancora si poteva inviarne e riceverne. Boschi nordici rossi e gialli. Bellissima e dolce. Non posso andarmene senza. Raccolgo il mio bagaglio e cerco le tasche dove infilarlo.
Un fruscio, fuori. Un rametto che si spezza. Una vibrazione. Corro alla soglia, mentre il tempo acquista velocità e ora mi incalza. Ma c'è qualcosa di nuovo su cui spendere ancora alcuni dei pochi istanti che si vanno chiudendo intorno a me. Un paio di occhiali da vista, e faccio a tempo a distinguerne il modello pesante e antiquato, sono lì per terra nell'erba secca. Qualcuno li ha perduti, oppure abbandonati, o lasciati a bella posta per trasmettermi un segnale. Qualcuno è passato, qualcuno con occhiali e fretta di partire. Un tuffo al cuore per questo anomalo messaggio.
Ora uscirò definitivamente dalla casa e dal tempo, e mi metterò in viaggio - ovunque sarà - cercando in ogni cespuglio, grotta, angolo sconosciuto il mio compagno predestinato. Sopravvissuto ed esploratore come me.
I prossimi che lascerò, saranno graffiti.

5 commenti:

  1. "la mia memoria [...] fa un fulmineo inventario sentimentale e seleziona poche indispensabili necessità vitali. Mi serve una matita"

    Magnifico questo passaggio.

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  2. mica ne ho tanta volgia di aspettare la fine del mondo per fare sta cosa.......

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  3. Bel post... bravo!

    Grazie mille per il commento, CIAO!!!

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