Episodio pilota
Episodio No. 1
Episodio No. 2
Episodio No. 3
Tic, tac, tic, tac. Sento il ticchettio, ma non vedo nessun orologio, nessuna sveglia: è dentro la mia mente, ma è anche dannatamente reale.
L'auto sfreccia a tutta velocità. Sono
al volante, ma non sono alla guida.
Attorno a me c'è una danza frenetica
di luci rosse, bianche, gialle.
L'autostrada è incredibilmente satura
di vetture che si rincorrono caoticamente, ma senza nessuna
collisione.
Un disordine ordinato.
L'aria si fa più calda. Provo ad
aprire il finestrino, senza risultato. Il cruscotto è diventato
rovente. Tic, tac, tic, tac. Il tempo sta per scadere.
Accanto a me c'è Carlo. È senza
testa, ma parla.
Mi chiede: “Cosa ci salva ordinando
il caos?”
Mi sveglio. Sono sotto diversi strati
di coltri. Coperte rimediate alla bell'e meglio.
Ho la fronte imperlata di sudore. Bollente.
Ho la fronte imperlata di sudore. Bollente.
Comincio a ricordare. Le immagini si
affastellano confuse: la caccia, il freddo, l'infezione, la febbre.
Mai mangiare la carne di un uomo se non
sai com'è morto. Era una regola. E non l'ho rispettata.
Le regole. Le regole ordinano il caos.
Le regole ti salvano il culo.
L'istinto e la fame ti fottono.
L'uomo è un essere debole, gracile.
Sopravvive solo perché sa come
affrontare situazioni prevedibili. Sopravvive perché impara dagli
errori. Sopravvive perché si dà delle regole.
Da quando era iniziata la neve, però,
niente era più come prima.
Le regole di un tempo non servivano
più. Bisognava ripartire da capo.
E dio sa se ci abbiamo provato. A
ricostruire un'organizzazione. A ricostruire rapporti di fiducia.
Perché la fiducia discende dalle
regole. Mi fido se posso prevedere che ti comporterai in un certo
modo.
Ma come puoi fidarti, se quando
incontri un uomo per strada, sai che cercherà di ucciderti?
Da qualche mese abbiamo preso il
controllo di un intero quartiere. Ci siamo dati due regole antiche,
primordiali.
Garantire la sopravvivenza della
specie.
Cercare di salvare la propria vita.
In quest'ordine di priorità. Ogni
altra regola era la specificazione di queste due.
Tutti quelli che volevano potevano
essere ammessi nel Quartiere, per avere riparo e cibo.
Ma il cibo cominciava a scarseggiare ed
i ripari erano sempre più gelidi.
Dentro il Quartiere nessuno poteva
portare delle armi e nessuno poteva uccidere altro uomo.
In ognuno dei due casi la pena era
essere marchiati e banditi. Le armi dovevano essere lasciate in uno
dei depositi all'ingresso al momento dell'ammissione e
di lì in poi appartenevano alla comunità. Quando si usciva dal Quartiere, ognuno aveva diritto a portare con sé un arma ed un
nastro rosso per essere riconoscibile dagli altri del gruppo.
Il Quartiere si espandeva e
controllarlo diventava sempre più difficile.
Fuori, la caccia
era consentita. Ma mai contro gli abitanti del Quartiere.
Trovare il cibo era sempre più
difficile ed eravamo costretti ad escursioni sempre più prolungate,
sempre più lontano dai confini.
Si erano formati anche altri gruppi.
Sempre più famelici. Nemici.
Prede.
A volte si arrendevano a noi, ma
raramente eravamo compassionevoli.
La fame è nemica della compassione.
Risparmiavamo i bambini, per lo più.
Ad ogni modo se decidevamo di portarli
con noi nel Quartiere, da vivi, diventavano parte del nostro gruppo.
Il cannibalismo doveva essere l'ultima
risorsa. Ma era diventato sempre più frequente.
Nei primi tempi alcuni di noi
preferivano prendere corpi che trovavano già esanimi.
Presto abbiamo capito che non era una
buona idea. Molti morivano per infezioni batteriche e mangiare quella
carne poteva essere letale.
Certo, sarebbe stato diverso se
avessimo avuto il fuoco. Ma erano ormai diversi mesi che non
riuscivamo ad accenderne uno.
Le cose stavano per cambiare in meglio,
forse. Alcuni abitanti del quartiere erano riusciti ad isolare
termicamente alcune stanze di un appartamento con pelli e grasso.
L'idea era quella di provare a
coltivare qualcosa. Qualunque cosa.
Proprio per questa ragione, avevamo
conservato alcune scorte di semi, risalenti ai giorni dei primi
saccheggi. Solo io e pochi altri – i “fondatori” – sapevamo
dov'erano nascosti.
Altrimenti qualcuno avrebbe tentato di
mangiarli.
Per vedere nascere qualche germoglio
bisognava, però, superare il problema dell'assenza di luce. Già di
per sé il sole era quasi del tutto oscurato: i nostri “vivai”,
così isolati, erano totalmente bui.
Ad un tratto so esattamente cosa devo
fare. Sarà il delirio della febbre, ma non mi sono mai sentito così
lucido. Sento di nuovo il ticchettio.
Garantire la sopravvivenza della
specie. Cercare di salvare la propria vita. In quest'ordine di
priorità. Tic, tac, tic, tac.
Forse sono contagioso, non posso
restare qui.
Potrei forse guarire. Ma la mia guarigione sarebbe
comunque un danno per la collettività, per la specie. Qualcun
altro ha più bisogno delle mie coperte, del cibo che sto consumando.
Qualcuno che ha più speranze di me di sopravvivere. E di farci
sopravvivere.
Mi alzo.
Con i
denti mi stacco un lembo di pelle dall'indice sinistro, intirizzito.
Devo sfregarlo per far uscire un po' di sangue. Con grafia incerta
scrivo sul muro: “L'umanità prima dell'uomo”. Non ho abbastanza
sangue per scrivere altro. Capiranno. Tic, tac, tic, tac.
Esco.
Nevica,
ovviamente.
Mi
spoglio di ogni straccio e mi abbandono sul mio candido e glaciale
giaciglio. È soffice.
Il mio
non è altruismo, ma egoismo razionale. La volontà di affermare
un'ultima scelta.
L'unica
scelta ancora possibile.
Ho
sempre pensato che chi muore vive eternamente il suo ultimo pensiero.
Tic, tac, tic, tac.
E in questo momento so che ce la possiamo fare. Tiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii...
E in questo momento so che ce la possiamo fare. Tiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii...
Le regole ordinano il caos. Le regole ti salvano il culo... ma solo per poterci infilare qualcosa dentro.
RispondiEliminaAllora che ne sarà di questo posto?
Sparirà? Ci mancherà? Ne fonderemo un altro? Faremo finta di non essere mai stati vivi? Faremo finta di non esserci neppure conosciuti?
Se ne facciamo un altro io lo chiamerei 'il mondo dopo i maya'... oppure 'mayalate'.
Mayalate senza dubbio. Che poi se lo scrivi Maya late significa "Maya in ritardo", o "Ritardo Maya" :)
Eliminaecco appunto.
EliminaBuona fine del mondo.
RispondiEliminaBuona fine del mondo a te!
Elimina"Cosa ci salva ordinando il caos?"
RispondiEliminaLa colf, passa dalle due domani.
Altro che regole...
Grandissimo Democritico